Ci sono un po’ di cose che iniziano ad essere irritanti sulla questione del referendum di Giugno, trasformato in argomento monotematico che poco ha a che fare con i quesiti referendari: votiamo assieme alle amministrative così risparmiamo 400 Milioni da devolvere per il terremoto in Abruzzo.

Questo numero è una baggianata, come spiega con chiarezza, in data 23 aprile, un articolo del quotidiano economico-finanziario “Italia Oggi”, che spulcia i numeri con diligente precisione: i costi aggiuntivi ammontano a poco più di 26 milioni e mezzo. E comunque mai è stata sollevata questa polemica in occasione di circa 60 referendum sinora svolti, molti dei quali hanno davvero rappresentato uno “spreco” di risorse rilevante, vista l’inconsistente quota di partecipazione più volte registrata. Rilevo quindi una prima “stranezza”, e anche che forse occorrerebbe rivedere le regole che sottendono ai referendum, responsabilizzandone maggiormente i promotori.

Mi stupisco anche del fatto che chi si schiera a favore del referendum, ad oggi 3 Maggio, abbia addotto un unico argomento quale propria motivazione, e cioè che a qualcuno “conviene”, e qualcuno non è un masochista: deboluccia come posizione per uno sconquasso istituzionale di tale portata.

Personalmente non sono d’accordo con il quesito veramente centrale, quello del premio di maggioranza al partito più votato, a prescindere dalla percentuale conseguita, quindi in sintesi un partito con, ad esempio, il 25% dei voti governerebbe da solo la nazione: qualcosa di simile successe in Cile nel 1970, con quello che ne conseguì. E qui mi fermo che è meglio.

Per chi adduce motivazioni di polverizzazioni partitiche e di governabilità valga il fatto che oggi in Parlamento credo ci siano solamente 5 gruppi, e in tema di governabilità credo che questa debba sposarsi con un termine forse desueto: la democrazia. Se però il problema è questo, ricordiamo che le dittature assicurano iter legislativi molto agili ed elevata governabilità: vogliamo fare un referendum sull’argomento ?

Ma soprattutto non mi piacciono le scorciatoie, quando si parla di temi così importanti, di fronte ai quali il pur concreto problema dei costi dovrebbe chinare il capo.

E’ chiedere troppo pretendere che un cittadino, che intenda modificare in modo così drastico le regole elettorali, e il proprio futuro, dimostri in modo palese l’importanza di quello che sta facendo?
Ad esempio alzandosi dalla propria poltrona, cercando la propria tessera elettorale, recandosi ai seggi, mettendosi eventualmente in fila, consegnando il proprio documento, ritirando la scheda, cercando di capirci qualcosa, e barrando un “si” o un “no” ?

E’ possibile che un cambiamento del genere, che mi lascia molto perplesso per i risvolti che potrà comportare per la nostra democrazia, debba dipendere da una manovra surrettizia, infilando una scheda tra le altre per non incomodare l’elettore pigro?

Io ho acquistato un quotidiano che tira svariate centinaia di migliaia di copie, all’interno mi hanno regalato un periodico femminile: è corretto che l’editore del periodico dica che quel giorno ha “venduto” centinaia di migliaia di copie? Forse è consentito dirlo, ma è un dato fasullo: sarebbe corretto, credo, se fossi andato in edicola e lo avessi chiesto espressamente, magari pagandolo. Credo che un referendum sia più importante di un periodico femminile.

Quindi se gli italiani vogliono davvero imprimere una svolta così drastica al proprio futuro, in chiave così decisamente rigida ed autoritaria, quanto meno lo dimostrino con i fatti.

E ci pensino bene.

Perché forse dopo non sarà facile tornare indietro.

IFPubblicato su IF 48 – maggio 2009

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